Il
mondo si era fermato a Roccacannuccia. Lì si era consumato il destino del
centrosinistra. De Mita lo aveva detto: o quel collegio o il caos. Tutti avevano
tremato, o goduto, al pensiero che il leader facesse sul serio. D’Alema in
persona lo aveva chiamato, per dissuaderlo. Ma Ciriaco nulla: o Roccacannuccia o
il caos. Invano ambasciatori erano arrivati sino al monte, a offrirgli i
territori di Apice e Pannarano, a garantire ai demitiani un lembo di Giugliano.
De Mita aveva mischiato le carte del tressette, gonfiato il petto e ripetuto: o
Roccacannuccia o il caos. Chi era nella notte che aveva vagato solo e disperato
tra il monumento di sant’Amato e il bivio, che aveva parlato in lacrime ai
lampioni? Lui, Ciriaco. L’uomo che aveva governato l’Italia, che aveva
stretto la mano di Gorbaciov e di Reagan, aveva annunciato anche alle panchine
della villa comunale di Nusco il suo estremo grido di guerra. E alla fine
Roccacannuccia era stata conquistata.