Icchetti, bisognava chiamarlo, senza la C. E il suo partito, dopo l’ultima umiliazione subita, si poteva chiamare non PdCI, Partito dei Comunisti Italiani, ma PdI, Partito d’Italia e basta, senza scomodare i comunisti, che almeno da queste miserie erano lontani. Per la giunta provinciale erano state nuvole nere, minacce di pioggia, tuoni e fulmini, e alla fine ne era uscita una fetecchia, un pernacchietto, con la richiesta, tutta democristiana, di un altro posticino, anche di uno strapuntino nel corridoio. Così il PdI restava nella giunta come il parente povero, da maltrattare e da prendere a schiaffi all’occorrenza. " Icchetti, la polvere sul comò!", " Icchetti, la posta!", "Icchetti, le sigarette!", avrebbe esclamato ogni giorno Maselli, e i (c)omunisti italiani sarebbero stati pronti a correre di qua e di là, minacciando la rivoluzione, farfugliando proteste e aspettando che il presidente si ricordasse almeno della mancia.