Poi, c’erano i minori. Erano i candidati dell’ultim’ora, strappati alle loro consuetudini per essere lanciati nel clima elettorale, chiamati a rappresentare immaginarie categorie di uomini, di donne, di intellettuali, secondo vecchi schemi polverosi e duri a morire. Qui era possibile trovare tracce di vita simile a quella di tutti, ascoltare parole simili a quelle di tutti i giorni. Che si trattasse del professore Luigi Iandolo o di Nicoletta Caraglia, che si parlasse di Barbara Auriemma o di Gianluca Festa, era un campionario di civile umanità e di buoni propositi, che entrava in crisi e cadeva nel ridicolo solo quando qualcuno di loro cercava di imitare gli sguardi e le movenze del politichese, di atteggiarsi a salvatore del mondo. Sarebbe servita per loro una giuria come quella di Sanremo, che aveva deciso di rompere le consuetudini e di premiare la qualità. Rischiavano, invece, di fare solo da tappezzeria.