Eccola, arrivava. Si avvertiva la sua presenza dagli applausi dei direttori generali, dalle colombe lanciate in volo dai capistruttura, dagli evviva dei capiripartizione. Era lei, la finte mite, Enza Ambrosone, l’assessore al personale del comune capoluogo. A vederla, sembrava un incrocio tra una samaritana e una clarissa, una donna pia, tutta casa e chiesa. Poi, d’improvviso, il miracolo. Sotto l’abito monacale emergeva la decisionista, sotto il velo lo sguardo fermo di chi sembrava avere un solo progetto: mai più esecutivi, mai più subalterni, mai più. Tutti dirigenti, tutti capi al Comune capoluogo. Dall’ usciere all’ archivista, per ognuno doveva esserci una speranza di salire in paradiso. Era questa la sua lezione, questo l’intimo legame tra la suora e la furba amministratrice. E se gli esclusi rumoreggiavano, era solo perchè cercavano la strada più breve per essere portati nel suo cielo.