D’Ercole sparava sulla Croce Rossa. Sosteneva che Maccanico non si era mai visto nel suo collegio. Era falso. Maccanico era timido, veniva a notte fonda e ripartiva all’alba. In genere, si intratteneva con gli ubriachi e con i nottambuli. " Io sono ministro!", diceva. " E io sono ambasciatore!", rispondeva l’ubriaco. " Io faccio le riforme!" aggiungeva un po’ stizzito. " E io faccio le marchette!", gridava una donnina di passaggio. Così il vegliardo passava le ore, cercando di convincere gli avellinesi in giro di esistere davvero. Ma nessuno gli credeva, nonostante si affannasse a mostrare le sue credenziali, con la firma del Presidente. Più giurava di essere il deputato di Avellino, più risate folli e fischi di derisione attraversavano l’aria. Alla fine, distrutto, mentre un timido raggio di luce illuminava il cielo, ripartiva per Roma. Era allora che D’Ercole cominciava a cercarlo, senza mai riuscire a trovarlo.