I sindacalisti della scuola avevano fatto un sogno. Anzi, un incubo. Avevano sognato di alzarsi, la mattina e di andare a scuola, come tanti. Sveglia alle 7, un caffè dì fretta e via, in auto, in pullman, a piedi, sino al portone. All’ inizio avrebbero fatto fatica, dopo tanti anni , a riconoscere le cose intorno a loro. Poi, timorosi, avrebbero chiesto ai bidelli o agli alunni. "Quello cos’è?" "Il banco!", " E quella?" "La cattedra", " E quell’altro?" "Il registro!", "E questa stanza scura?" "L’aula!". Avevano passato tanto tempo a parlare di una scuola immaginaria, a fare convegni, convegnini, convegnuzzi, a baloccarsi in inutili commissioni, che non ricordavano più come fosse fatto il mondo vero. Così nel sogno si aggiravano sperduti per corridoi, si nascondevano dietro le lavagne, cercavano rifugio nelle presidenze, aspettando con ansia che la campanella suonasse, per far finire l’incubo.