"Ah, Cutulino!", aveva detto commosso l’impiegato. Nel paese le persone si conoscevano solo con il loro soprannome. Non erano ancora le otto e negli uffici comunali di Nusco tutti erano già al loro posto. Era un piccolo miracolo, di precisione e di gentilezza."Cutulino" tornava, da morto. Ma l’idea del tempo circolare qui s’insinuava tra i vicoli e gli slarghi, nella luce del mattino che univa i sani e i folli, i vivi e i morti. Tutto si riconnetteva: un filo d’incanto univa la piazza in alto e il viale che conduceva giù al piccolo cimitero. Poi vi erano, qua e là, i segni dei guasti degli uomini. Ma non avevano ancora sconfitto il senso vivo di comunità scolpito nelle cose. Qui tutto finiva e nulla non finiva mai. Anche "Cutulino", che ritornava, era atteso dalle donne che uscivano dalla cattedrale, dagli uomini fermi sui gradini del monumento, dai ragazzi in villa, che pure non aspettavano e speravano nulla, come uno che non era mai andato via.