Il maestro Mancino lanciava l’appello. L’Ulivo era una classe indisciplinata, da sette in condotta. Per scrivere sei nomi nel registro delle candidature, erano mesi che si sfasciavano banchi sulle spalle. Nella fila a sinistra regnava una calma sospetta. Sotto banco, D’ Ambrosio e la De Simone si scambiavano figurine di esaminandi per gli enti e per i collegi, mentre tutti gli altri tacevano o erano nel bagno a fumare, a sognarsi un posticino al sole. Nella riga a destra il capoclasse era Giuditta, che una ne faceva e nessuna ne pensava. La fila di centro era la più indisciplinata. Al primo banco erano i secchioni, come Pennetta, che facevano sì con la testa ad ogni spiegazione, per ingraziarsi i professori. Dall’ultimo Di Nunno e Amalio Santoro lanciavano coppetti, che spesso ricadevano su di loro. Nella fila, però, i più erano gli assenti, che patteggiavano con i bidelli una via di fuga per una busta di pop corn e una pizzetta.